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OSTEOPATIA: rabbia e accuse!

Subito dopo la laurea, ormai 10 anni fa, mi arrabbiavo e tentavo di denunciare (il tutto sempre invano) quando vedevo estetisti, massaggiatori e osteopati non laureati che trattavano persone con dolore o patologie. Poi ho iniziato a lavorare, ad avere sempre più pazienti e ho desistito. Sostanzialmente per due motivi: penso che la qualità del lavoro paga, e quindi mi sono concentrato su di me e sui miei pazienti. E poi perché le istituzioni non ci hanno mai tutelato e quindi ogni mia denicia è sempre risultata inutile.

Ultimamente però sto diventando di nuovo insofferente verso queste persone che con tracotanza, superbia e sfregio delle leggi trattano pazienti, utilizzano macchinari e organizzano giornate di divulgazione su come trattare le piu disparate patologie.

Denunciare continua a non servire a nulla, ma almeno vorrei dirvi: se avete un problema di salute andate da un medico o da un fisioterapista laureato, NON DALL’OSTEOPATA!! 

L’osteopata non ha le competenze e le possibilità giuridiche per trattare patologie e usare macchinari come TECAR o onde d’urto; e il più delle volte propone solo strategie passive, volte a cronicizzare un problema, lucrare sulla ignoranza delle persone e mercificare la salute!

 

Osteopatia non è scienza

L’osteopatia ha recentemente ottenuto il riconoscimento come professione sanitaria in Italia, un passo accolto con entusiasmo dagli operatori del settore. Tuttavia, al di là degli applausi di circostanza, è essenziale analizzare il contesto con uno sguardo critico.

Questo riconoscimento definisce limiti ben precisi per l’osteopata: niente terapie strumentali, nessuna possibilità di trattare patologie, niente diagnosi reali. Solo una generica “prevenzione” delle disfunzioni somatiche, qualunque cosa significhi. E poi: davvero serve un’altra professione sanitaria per fare ciò che già fanno i fisioterapisti (il nostro codice deontologico prevede prevenzione e trattamento), con un percorso universitario ben regolamentato? O è la solita fuffa all’italiana per fare contento qualcuno?

BISOGNA SCRIVERLO CIHARO!

Secondo il DPR 131/2021, l’osteopata non è autorizzato a trattare patologie o utilizzare strumenti diagnostici avanzati. Le sue competenze si limitano al trattamento manuale di “disfunzioni somatiche” e alla prevenzione primaria o secondaria di disturbi muscolo-scheletrici.

Se un osteopata tratta un mal di schiena, un dolore cervicale o qualsiasi altro dolore muscolare o scheletrico fa UN ABUSO DI PROFESSIONE MEDICA! L’articolo 348 del Codice Penale italiano sancisce una condanna a: reclusione da 6 mesi a 3 anni; multa da 10.000 a 50.000 euro; confisca delle apparecchiature utilizzate; eventuali sanzioni amministrative o civili in caso di danno al paziente.

La mercificazione della salute infantile

Uno degli aspetti più controversi dell’osteopatia è la crescente tendenza a trattare bambini sani. Sì, avete capito bene: bambini sani. Con la scusa di “prevenire” o “trattare” disfunzioni non meglio definite, alcuni osteopati spingono i genitori a investire in terapie inutili.

Secondo il Dott. Francesco Cuffaro, (pediatra che vi invito a seguire), questi trattamenti sono non solo inutili, ma eticamente inaccettabili e potenzialmente pericolosi: una mercificazione della salute infantile che alimenta ansie infondate nei genitori. Portare un bambino sano dall’osteopata è una pratica dannosa che nessun professionista serio dovrebbe mai giustificare.

 

La (non) scienza e l’osteopatia

Nonostante gli sforzi per ottenere un riconoscimento accademico, l’osteopatia continua a soffrire di una drammatica mancanza di evidenze scientifiche solide che ne supportino l’efficacia oltre il placebo. La maggior parte degli studi che comparano l’osteopatia con trattamenti placebo o massaggi ( come questo articolo), semplici mostra risultati sovrapponibili, suggerendo che l’effetto positivo sia spesso legato a fattori psicologici, come il rilassamento o la fiducia nel terapeuta, piuttosto che a un reale beneficio terapeutico.

Eppure, gli osteopati sanno vendersi molto bene. La loro vera abilità non è nella cura, ma nella comunicazione. Spesso si posizionano come figure autorevoli grazie alla loro presenza nei media: appaiono in TV, sono ospiti di trasmissioni radio, e vengono promossi da personaggi famosi che li legittimano agli occhi del pubblico. Questa capacità di costruire un’immagine di credibilità popolare è il loro più grande punto di forza. Purtroppo, però, dietro questa patina di autorevolezza, manca una base solida: non ci sono prove scientifiche robuste, ma solo narrazioni accattivanti.

È quindi fondamentale educare i pazienti, aiutandoli a distinguere tra chi offre una reale competenza sanitaria e chi basa la propria efficacia su strategie di marketing ben congegnate. La salute non può essere lasciata in balia di suggestioni o storytelling: richiede fatti, dati, trasparenza, rispetto delle leggi e soprattutto etica.

Conclusioni

Il riconoscimento dell’osteopatia non cambia il fatto che questa pratica manca di solide basi scientifiche e che gli osteopati, per legge, non possono trattare patologie.

Affidarsi a professionisti senza competenze reali significa mettere a rischio la propria salute. La scienza, la legge e l’etica devono guidare le nostre scelte. Non lasciatevi ingannare da chi vende illusioni mascherate da cure: la salute merita serietà, non marketing

SPRINT Iniziale – per iniziare a correre

Cos’è SPRINT Iniziale?

SPRINT Iniziale nasce dalla voglia di fare Educazione Fisica, e dalla voglia di far iniziare più persone possibile a fare attività fisica e sport.

Sono un fisioterapista e ogni settimana vedo decine di persone che soffrono di dolori muscolari o articolari di ogni tipo. A ognuna di loro consiglio di iniziare o continuare a fare attività fisica. Un’attività fisica svolta in modo regolare aiuta a migliorare il metabolismo basale, riduce i livelli di stress, aiuta a regolare la sensazione di fame e sazietà, migliora l’igiene del sonno; oltre a questo è risaputo come l’attività fisica è utile per curare depressione e sintomi associati, diminuisce il rischio di sviluppare artrosi e osteoporosi, riduca l’insorgenza di tumori, e la probabilità di sviluppare la malattia di Alzhaimer e riduce il rischio di morte del 27%. Insomma non esistono lati negativi nell’iniziare a fare attività fisica.

Negli ultimi anni mi sono specializzato nel running. La corsa è uno sport accessibile a tutti! Si può fare quando si vuole, dove si vuole, non serve attrezzatura particolare (parleremo anche delle scarpe migliori). L’unico problema della corsa, e dell’attività fisica in generale, è che si può incorrere in un infortunio.

Per questo a FisioSprint abbiamo avuto l’idea di “SPRINT Iniziale”: un corso strutturato in 8 settimane con 5 incontri dal vivo, in cui sarai seguito passo passo, riceverai informazioni fondamentali per inziare a correre, la corretta tecnica, la giusta programmazione, e passarai dal divano a correre 30 minuti di fila! Ti sorprenderai di te stesso, e sarà una botta di autostima e salute incredibile.

Cosa prevede nello specifico SPRINT Iniziale?

SPRINT Iniziale è un corso per iniziare a correre in sicurezza. Unisce le conoscenze di un fisioterapista (docente e responsabile de La Clinica Del Running), una laureata in Scienze Motorie e un Nutrizionista (entrambi specializzati nel mondo dello sport e della corsa), per fornirti un programma mirato e scientifico. Il corso consiste in 5 incontri dal vivo:

  • Nel primo incontro analizzeremo le vostre abitudini e vi daremo indicazioni importanti per iniziare a correre in sicurezza
  • Nel secondo incontro analizzeremo i benefici dell’attività fisica e capire come non esistono esercizi giusti o esercizi sbagliati. Tutto dipende da quanto e come si fanno
  • Nel terzo incontro parleremo di quando eseguire esercizi di forza, stretching, riscaldamento e tutto ciò che ruota intorno all’allenamento
  • Nel quarto incontro parleremo di nutrizione: regole generali e come ottimizzare al megio l’allenamento
  • Il quinto e ultimo incontro sarà una festa: sarai riuscito a raggiungere il tuo obiettivo, analizzeremo l’andamento dei tuoi allenamenti e parleremo di come proseguire per il resto della tua vita

L’attività fisica è una botta di autostima e benessere, ricorda: non esiste e non esisterà mai un farmaca che garantisca una buona salute come un programma di esercizio fisico che duri per tutta la vita!

 

Quando?

Gli incontri saranno il giovedì (tranne il secondo incontro che sarà di mercoledì) sera alle 19:00. Il primo incontro sarà il 18 aprile; poi a seguire 24 aprile, 2 e 16 maggio, e l’ultimo incontro il 13 giugno. Sarai pronto per l’estate!

Dove?

Tutti gli incontri si svolgeranno presso FisioSprint, Viale Po 33, Crescentino (VC) 13044

Quanto costa?

Partiamo subito con il dire che il costo di SPRINT Iniziale è di 90€ (spesa medica detraibile). Il corso comprende i 5 incontri in studio, la tabella di allenamento che ti porterà a correre 30′ di fila, un monitoraggio continuo e costante in questi due mesi, la possibilità di chiedere chiarimenti e delucidazioni anche a distanza degli incontri programmati.

A chi è rivolto?

A tutti. La corsa, nonostante tantissimi falsi miti che corrono sul web o nel famosissimo “sentito dire”, è uno sport sicuro e adatto a tutti. Non è necessario fare già attività fisica o essere in perfetta salute per iniziare. L’idea di massima è che per iniziare a correre si debba riuscire a camminare almeno 30 minuti a un buon passo.

Che scarpe mi servono e cosa devo portare?

Non sono necessarie le ultime scarpe da 250€ per iniziare a correre. Porta delle scarpe da ginnastica leggere e nel primo incontro capiremo meglio quali sono le scarpe migliori per iniziare. Per il resto non serve abbigliamento particolare o costoso per correre. Durante il primo incontro faremo una piccola parte pratica, durante gli incontri successivi invece faremo anche alcuni esercizi pratici; quindi, se ti è possibile, presentati in tenuta comoda.

Serve un certificato medico per partecipare a SPRINT Iniziale?

No, non è richiesto il certificato medico di idoneità sportiva. L’attività che vi proponiamo è molto graduale e non ha alcuna indicazione sportiva. Chiaramente fare dei controlli sulla propria salute è importante e utile e vi invitiamo a prendervi cura di voi. Però ricorda: sedentarietà, sovrappeso e mancanza di attività fisica sono invece dei fattori di rischio molto importanti nello sviluppare patologie. A voi le dovute conclusioni.

Se non posso partecipare a un incontro?

In caso di non partecipazione a uno o più incontri non è previsto nessun rimborso. Se si salta un incontro però, si riceve un buono da 15€ da utilizzare in qualsiasi attività presente da FisioSprint: visita fisioterapica, ginnastica posturale o valutazione nutrizionale.

Come faccio a iscrivermi?

Iscriversi è semplicissimo! si può inviare una email a info@fisiosprint.it oppure chiamare o inviare un WhatsApp a 0161 1706346

 

Se vuoi iscriverti, compila questo modulo, Grazie.

 

Hai altri dubbi o curiosità?

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osteoporosi

OSTEOPOROSI

L’osteoporosi è definita come una patologia del sistema osseo. Crea una riduzione della densità della nostre ossa (cioè meno cellule e meno minerali). Questo porta a una perdita dell’architettura e della resistenza dell’osso, e quindi aumenta la probabilità di subire una frattura. Per capire facilmente cos’è l’osteoporosi usiamo una metafora: quando siamo giovani le nostre ossa sono un muro di mattoni forte e stabile, invecchiando iniziamo a perdere dei mattoni qua e là, e questo rende il muro molto più fragile e a maggior rischio di crollare. E purtroppo, quando mancano tanti mattoni, basta una forza minima per far cadere il muro.

L’osteoporosi è, quindi, legata principalmente all’età e all’invecchiamento; sono importanti però, anche a cambiamenti metabolici e ormonali e caratteristiche genetiche proprie di ogni individuo. Questi cambiamenti metabolici e ormonali sono maggiori per le donne e questo spiega perché sono più colpite e hanno un rischio maggiore di andare incontro a frattura in età avanzata.

Come si scopre di avere l’osteoporosi?

L’esame che si effettua per scoprire la salute delle nostre ossa, e quindi sapere quanti mattoni stiamo perdendo, è la MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata). La MOC da sola però ci dice solo quanti mattoncini mancano e chi, se cade, ha più probabilità di avere una frattura.

Ci sono anche notizie positive!

Essere anziani, in menopausa, o avere dei geni “cattivi” sono fattori non modificabili su cui non possiamo intervenire; però per fortuna ci sono altre cose che possiamo fare per rallentare e gestire l’osteoporosi e, quindi, per prevenire le fratture.

Scopriamole insieme!

Come rallentare l’insorgenza di osteoporosi?

Chi mi conosce e ha già letto alcuni miei articoli penserà che sono ripetitivo ma finiamo quasi sempre a parlare di ESERCIZIO. Ebbene sì, Anche per gestire (e vedremo dopo, trattare) l’osteoporosi, l’esercizio fisico è fondamentale! Invecchiando perdiamo dei mattoni nel nostro “muro”, ma se noi siamo attivi e diamo continuamente (con costanza e carichi corretti) stimoli alle nostre ossa loro rimarranno forti e in forma più a lungo. Anche, e soprattutto, chi non ha mai fatto attività fisica deve iniziare a svolgerla se vuole tenere a bada l’avanzare dell’osteoporosi. Non è mai troppo tardi per iniziare!

Meglio se inziate con delle attività seguite da un professionista, ma non esistono esercizi giusti o sbagliati. L’importante è muoversi. Chiaramente esercizi in cui il carico sulle gambe e sulla schiena è importante sono da preferire (soprattutto quando non si ha male e l’osteoporosi è all’inzio), perché il carico sulle ossa è maggiore. In generale, correre, saltare o sollevare pesi non danneggia le ossa, ma le rinforza. Quando invece questi esercizi sono impossibili (perché non si sono mai fatti, o perché c’è dolore), bisogna iniziare con esercizi più facili. Bisognerà poi progredire con esercizi via via più difficili e bisognerà ricercare attività che siano piacevoli e che si possano fare regolarmente. Ognuno di noi è diverso: c’è chi preferirà un’attività e chi un’altra, chi in maniera più intensa chi più dolcemente.

Come trattare l’osteoporosi?

Di solito il trattamento dell’osteoporosi è quasi sempre medico. E cioè i pazienti che hanno segni di osteoporosi alla MOC inizieranno cure con supplemento di vitamina D e calcio. La vitamina D e il calcio sono responsabili della parte minerale e della struttura esterna dell’osso.

C’è un grosso problema però: con questi farmaci può migliorare il valore alla MOC ma il rischio di frattura di riduce di pochissimo. L’osso per diventare più resistente ha bisogno di carico. Tornando alla metafora del muro, con la vitamina D e il calcio si mettono mattoni sul muro senza però che si abbia il cemento per tenerli insieme; l’esercizio fisico e il carico servono proprio per cementare e far diventare più resistente il muro.

Non esistono esercizi giusti o esercizi sbagliati, la chiave è quantificarli nel modo corretto. Chi dice che con l’osteoporosi non si può correre, non si può saltare o non si possono alzare pesi vi dice una mezza bugia (diffidate dei messaggi negativi). Chiaramente sono attività in cui il carico sulle ossa è alto, ma dipende anche quanti salti faccio, quanti metri corro e quanto pesante è il peso. Una tachipirina cura la febbre, 100 tachipirine tutte insieme uccidono; 3 metri di corsa possono essere un valido esercizio, 5 minuti uno pessimo! A proposito se vuoi iniziare a correre organizzo corsi per permetterti di iniziare in sicurezza, scopri di più qui

Quali esercizi fare?

Non essendoci esercizi giusti o sbagliati a priori bisogna iniziare un programma di esercizi seguiti da un professionista, soprattutto quando l’osteoporosi è in stato avanzato. Con un buon programma di allenamento e rinforzo, e cioè con il giusto dosaggio di esercizi, nulla è impossibile. Idealmente bisogna combinare esercizi aerobici (camminata veloce/corsa, nuoto, cyclette/bici, ballo, etc.) con esercizi di rinforzo muscolare. Si può partire con esercizi semplici da integrare nella vita quotidiana, fino ad arrivare a sollevare pesi più importanti o esercizi più complessi.

Equilibrio!

Numerosi studi hanno messo in relazione la capacità di mantenere l’equilibrio su una gamba sola con la probabilità di cadere nella popolazione anziana. Chi non è in rado di mantenere l’equilibrio per almeno 27 secondi aumenta di molto il rischio di caduta. Quindi inserire esercizi di equilibrio è fondamentale in età anziana per migliorare la propria mobilità e ridurre il rischio di caduta.

 

Vuoi chiedere altre informazioni sull’osteoporosi o vuoi prenotare un appuntamento? Contattaci a info@fisiosprint.it oppura chiamaci o mandaci un WhatsApp a 0161 1706346

Protesi di ginocchio

PROTESI DI GINOCCHIO

COSA FARE PRIMA DELL’INTERVENTO DI PROTESI AL GINOCCHIO?

Come abbiamo già visto nell’articolo sull’artrosi (recuperalo qui), l’artrosi non è sempre dolorosa e prima di effettuare l’intervento chirurgico di protesi di ginocchio bisognerebbe effettuare un percorso di fisioterapia e riabilitazione per cercare di migliorare la propria condizione fisica, la forza muscolare e, se in sovrappeso, intraprendere una dieta ipocalorica (se sei alla ricerca di un professionista prenota una visita con il Dott. Lenzi).

Anche se questo percorso non riuscirà a risolvere il problema e bisognerà quindi andare in sala operatoria, tutti gli esercizi svolti prima dell’intervento di protesi di ginocchio aiuteranno e velocizzeranno la ripresa dopo l’operazione.

I PRIMI GIORNI DOPO L’OPERAZIONE

La protesi di ginocchio non comporta grossi problemi da un punto di vista di attenzione o limitazioni nei primi giorni, come invece succede per la protesi d’anca. Però risulta essere molto dolorosa, soprattutto le prime settimane. Le linee guida consigliano l’utilizzo del ghiaccio nei primi giorni post intervento perché riducono l’assunzione di farmaci. Inoltre bisognerebbe iniziare il prima possibile, già in ospedale, la riabilitazione per iniziare a muovere l’articolazione, limitare il gonfiore e l’atrofia muscolare. Più l’articolazione era bloccata prima dell’intervento di protesi di ginocchio, più sarà difficile recuperare il movimento completo. Per recuperare il movimento e limitare le rigidità risulta importante trattare anche la cicatrice, una volta rimossi i punti.

Per quanto riguarda la forza si può iniziare fin da subito a effettuare esercizi di forza per i muscoli della coscia, del gluteo e dei polpacci. Questo aiuterà una più rapida accettazione del carico. Inizialmente è consigliato l’utilizzo di stampelle e bisogna prestare attenzione agli esercizi che mettono stress sull’articolazione. Mano a mano che la forza aumenta e il paziente avrà più sicurezza nel mettere tutto il proprio peso su una gamba sola, si deve iniziare a lavorare sul commino e eliminare tutte le zoppie che ci sono inizialmente, fino a eliminare le stampelle.

NEL LUNGO PERIODO?

La protesi di ginocchio, se gestita bene all’inizio, non da problemi nel lungo periodo. La “vita” di una protesi di ginocchio è lunga e può durare in alcuni paziente 25/30 anni, e anche di più. Dopo un primo periodo di 2/3 settimane, che di solito viene svolto in ospedale o in strutture pubbliche, il paziente viene mandato a casa. Attenzione però! La riabilitazione non è finita. Il paziente dovrà continuare a effettuare esercizi di rinforzo sempre più mirati a quelle che sono le sue capacità. Per pazienti più giovani sarà importantissimo continuare a fare esercizio fisico, anche intenso, e quindi andare in palestra, continuare a correre, andare in bicicletta, e fare esercizi intensi; per quelli più anziani gli esercizi vanno calibrati in base alla loro situazione ma comunque devono mirare a un miglioramento della condizione fisica e della loro salute.

CONCLUSIONE

In conclusione l’intervento di protesi di ginocchio può essere la soluzione per quei pazienti che, nonostante fisioterapia, esercizi e dieta, continuano ad avere dolore. I primi giorni dopo l’intervento possono essere molto dolorosi e recuperare il movimento è complicato se prima dell’operazione si era già molto rigidi. Bisognerebbe iniziare la fisioterapia il prima possibile, continuare a scvolgere esercizi, anche intensi e faticosi, fino a che non si raggiunge il livello di autonomia sperato, e in quel momento continuare in autonomia con costanza e dedizione a prendersi cura della propria salute.

 

Hai subito un intervento di protesi di ginocchio e vuoi intraprendere un percorso riabilitativo? Contattami

Artrosi

ARTROSI

COS’È L’ARTROSI?

L’artrosi è il disturbo articolare cornico più diffuso al mondo. Se vogliamo riprendere una definizione recente è: “una condizione comune caratterizzata da dolore articolare e rigidità con conseguenze rilevanti sulla funzionalità, restringendo significativamente le ADL e spesso porta ad una riduzione della qualità della vita”.

Attenzione però: non sempre è dolorosa! L’artrosi può essere considerata un processo di invecchiamento dell’articolazione. Così come invecchiando perdiamo i capelli, o diventano bianchi, oppure ci vengono le rughe, così anche le superfici articolari diventano più frastagliate, meno lisce e si deformano; il problema è che però alcune volte l’artrosi da dolore.

Già a 45 anni circa il 30% della popolazione presenta segni di artrosi all’anca o al ginocchio, e la percentuale aumenta con l’aumentare dell’età. Per fortuna però meno del 50% ha dolore.

 

COME SI PREVIENE E QUALI FATTORI SONO INVECE PERICOLOSI?

Pur essendo una condizione quasi fisiologica e legata all’invecchiamento, ci sono fattori protettivi e altri che invece accelerano le deformazioni articolari.

La conformazione anatomica, la genetica sfavorevole, aver subito traumi articolari o interventi chirurgici in giovane età, sono tutti fattori che possono peggiorare la progressione, ma su cui, purtroppo, non possiamo farci nulla.

Possiamo però rallentare la progressione avendo uno stile di vita sano. Sappiamo che le persone che praticano sport che prevedono un carico articolare, come la corsa, hanno un rischio minore del 70% di sviluppare artrosi dolorosa. Inoltre la nutrizione è fondamentale: essere in sovrappeso o obesi, o avere patologie metaboliche come diabete, dislipidemia o ipertensione, peggiora la progressione e il dolore.

Concentriamoci su fattori che possiamo modificare e su cui possiamo avere l’ultima parola. Per prevenire bisogna stare in salute, praticare attività fisica e controllare il peso corporeo.

 

COME SI TRATTA L’ARTROSI?

Sono stati proposti tanti trattamenti per l’artrosi, alcuni più efficaci, altri invece inutili. Partiamo da quelli più utili:

ESERCIZIO FISICO: l’esercizio fisico è certamente il trattamento più sicuro e migliore da intraprendere se si soffre di artrosi. Indipendentemente dall’età e della proprie capacità bisogna iniziare a dare movimento all’articolazione e rinforzare la muscolatura. Anche in età molto avanzata i nostri tessuti si modificano e si adattano agli stimoli che gli diamo. Chiaramente l’esercizio va individualizzato e deve essere mirato alla propria condizione e alle proprie capacità. (Vuoi iniziare a correre? Inizia da qui!)

NUTRIZIONE: anche in questo caso la comunità scientifica è certa: bisogna controllare la bilancia se siamo in sovrappeso o obesi e soffriamo di dolore articolare. (Sei alla ricerca di un nutrizionista? Prenota una visita con il Dott. Lenzi!)

EDUCAZIONE: l’educazione da sola non è sufficiente, ma il paziente va guidato, seguito e educato attraverso il suo percorso riabilitativo. Ci possono essere dei periodi di benessere, seguiti da peggioramenti improvvisi. L’artrosi può essere molto dolorosa, e non sempre possiamo controllarla. Sapere come gestire i momenti più dolorosi e quelli in cui riusciamo a muoverci con meno fatica è importantissimo.

FARMACI: l’utilizzo dei farmaci per trattare l’artrosi non trova tutti d’accordo. Le ultime linee guida consigliano di utilizzare farmaci antiinfiammatori FANS, la minor dose possibile per il periodo più breve possibile quando il dolore è molto forte e molto disabilitante. Sono sconsigliati invece gli oppioidi, la tachipirina e farmaci antidolorifici.

MASSAGGI: i massaggi e la terapia manuale non servono molto. Sono utili però mobilizzazioni articolari se è presente forte rigidità articolare (e muscolare), e si è in una fase in cui il dolore non è molto intenso.

TERAPIA FISICA: anche in questo caso fare TECAR, laser o altre terapie passive serve a poco o nulla. Come avete capito i trattamenti migliori sono quelli in cui il paziente prende in mano la situazione e gestisce il suo problema con impegno e costanza quotidiana. Sperare che un farmaco, un massaggio o una macchina curi l’artrosi è sbagliato.

INFILTRAZIONI: se dopo un trattamento di alcuni mesi, almeno 2 o 3, non c’è beneficio e il dolore non migliora, la letteratura scientifica consiglia di effettuare un ciclo di infiltrazioni per provare a togliere il dolore e poter lavorare con esercizi di rinforzo per avere miglioramenti più a lungo termine. Le infiltrazioni di acido ialuronico dovrebbero essere evitate perché non utili; sono invece utili infiltrazioni di cortisone.

INTERVENTO CHIRURGICO: quando tutti i precedenti interventi hanno fallito l’intervento chirurgico può e deve essere preso in considerazione. Vi parlerò in un prossimo articolo del ruolo della fisioterapia in seguito a protesi di anca o di ginocchio.

 

Hai domande specifiche o vuoi capire se il tuo dolore è dovuto all’artrosi? Non esitare a contattarmi

Dolore cervicale

DOLORE CERVICALE

IL DOLORE CERVICALE

Il dolore cervicale è il secondo disturbo più frequente al mondo, dietro solo al mal di schiena. Il paziente può riferire dolore in tutta la regione del collo (vedi foto sotto). Il dolore spesso è associato a rigidità articolare, dolore muscolare, e a sintomi associati: mal di testa, vertigine, nausea, etc.

Dolore Cervicale

Oltre a essere molto frequente, il dolore cervicale rappresenta anche un grande ostacolo sociale; spesso infatti è associato a assenteismo lavorativo, limitazione nella partecipazione di attività ludico-ricreative.

 

Chi soffre maggiormente di dolore cervicale?

Il dolore cervicale colpisce le popolazioni di tutto il mondo, anche se l’Europa è il continente dove è più prevalente. Colpisce maggiormente le persone tra i 25 e i 50 anni, maggiormente le donne. Il problema maggiore è il rischio di recidive: si stima che tra il 60 e l’80% delle persone che hanno avuto un episodio di dolore cervicale sviluppino delle recidive e una ricorrenza dei sintomi. Inoltre, fino al 20% delle persone riferisce limitazioni lavorative o sociali causate dal dolore, o per paura di provare dolore.

I soggetti più a rischio sono i lavoratori: sia gli impiegati (molte ore al giorno nella stessa posizione, avevo già scritto un blog su questo), sia i lavoratori manuali come operai (per sforzi ripetuti e prolungati nel tempo), sia professionisti come medici, avvocati, etc. (a indicare come alti livelli di stress e tensione giochino un ruolo chiave nello sviluppo del dolore).

Classificazione

Abbiamo visto come il dolore cervicale possa rappresentare un ostacolo, anche molto importante nella vita quotidiana di chi ne soffre. Per capire come gestirlo e trattarlo bisogna prima individuare delle sottocategorie di pazienti che hanno questo dolore. Questo permette di indirizzare il trattamento e capire come gestire al meglio il paziente. Negli studi scientifici e nel linguaggio medico il dolore cervicale è definito come NAD (Neck pain and Associated Disorders, cioè dolore al collo e disturbi a esso associati); possiamo avere:

  • NAD di tipo 1: dolore al collo che non influenza la vita quotidiana di chi ne soffre. Il paziente riesce a svolgere attività lavorativa e ricreative senza che il dolore lo limiti.
  • NAD di tipo 2: anche in questo caso non ci sono problemi definiti “gravi”, ma il dolore limita le attività e la partecipazione sociale del paziente. Non solo per il dolore diretto, ma anche per paura di sviluppare dolore in seguito.
  • NAD di tipo 3: in questo caso oltre che dolore alla zona cervicale sono presenti sintomi neurologici a esso correlati. Il paziente avrà quindi formicolio, perdita di riflessi, sensibilità o forza all’esame neurologico. Questo paziente necessita di un buon inquadramento medico, anche se il trattamento, soprattutto all’inizio, è quasi sempre fisioterapico.
  • NAD di tipo 4: dolore al collo che sottende a una patologia grave. Il dolore è spesso molto forte, successivo a traumi. Può essere causato da frattura vertebrale, infezione, problemi di tipo vascolare, etc. Questa tipologia di pazienti necessita di un inquadramento medico specialistico e quasi sempre, proprio per il tipo di dolore che prova, accederà in maniera diretta all’ospedale.

Il dolore cervicale può essere diviso anche in recente (se è il primo episodio) o ricorrente o persistente (se, appunto, non è la prima volta che insorge dolore). Questa ulteriore classificazione serve per capire la prognosi: se è il primo episodio di dolore sarà più facile e veloce guarire rispetto a un dolore che dura da diverso tempo.

Fattori di rischio

Ci sono tanti fattori di rischio che sono stati individuati come causa del dolore cervicale. Alcuni non si possono modificare come: età, sesso femminile, storia di precedente dolore. Altri invece sono modificabili come: attività lavorativa, scarsi livelli di attività fisica, salute generale non ottimale, il fumo, scarso supporto familiare o sociale.

Soprattutto per i dolori che durano da tanto tempo è sempre indicato valutare i fattori psicologici e sociali correlati al dolore. Aspetti come le credenze sul proprio dolore, la parte emozionale e sociale correlata alla storia della persona che soffre di dolore sono molto importanti da valutare. Così come la paura di non guarire, la frustrazione, la paura di effettuare determinati movimenti.

Ci sono poi aspetti direttamente correlati al lavoro che possono influenzare, anche in maniera determinante, il dolore del paziente. I più importanti sono: attività pesanti e ripetitive, una scarsa soddisfazione lavorativa, cattiva o nulla relazione con i colleghi, posture prolungate per lungo tempo, percepire il lavoro come causa primaria del proprio dolore.

Valutazione del paziente con dolore cervicale

Per prima cosa, quando si ha dolore cervicale bisogna escludere che ci siano problemi seri, quindi escludere i cosiddetti NAD di tipo 3 e 4. Se siamo sicuri di rientrare nelle categorie di NAD 1 e 2, le indagini strumentali non sono indicate, per cui Rx o risonanza magnetica, quasi mai danno indicazioni significative.

In secondo analisi, bisogna valutare la persona in maniera corretta e approfondita, al fine di determinare il trattamento migliore. Avendo capito quali sono i fattori di rischio principali e come questi possono influenzare la guarigione o meno del paziente risulta essenziale capire chi è il mio paziente. Se ho una persona giovane, attiva, senza altri problemi, al primo episodio di dolore, con una salute generale buona, avrò bisogno di poche sedute per raggiungere una buona guarigione e il ritorno alle normali attività. Viceversa il trattamento sarà più complesso, lungo e, talvolta, impegnativo.

Trattamento

Il trattamento per la maggior parte delle volte consiste nell’unione di tre interventi: educazione, esercizio e terapia manuale.

  • Educazione: è fondamentale per poter iniziare gli altri interventi riabilitativi. Se il paziente è correttamente educato rispetto al suo problema, capisce che cos’ha, quali sono le cause che l’hanno portato a sviluppare dolore, e cosa deve fare per riuscire a risolverlo, tutto il lavoro successivo sarà più facile e veloce. Esattamente come ho cercato di fare in questo articolo bisogna analizzare e discutere con il paziente ogni aspetto, prima di iniziare con esercizi o terapie specifiche.
  • Esercizio: come in tutti i problemi muscolari e scheletrici fare esercizio è essenziale per migliorare la guarigione dei tessuti e renderli pronti a eseguire le attività della nostra vita quotidiana. Sia esercizi generali, che coinvolgono tutto il corpo, sia esercizi specifici per la regione cervicale sono essenziali per avere una corretta guarigione. Gli esercizi specifici hanno l’obiettivo di rinforzare la muscolatura, ristabilire una corretta mobilità articolare e rendere i movimenti del collo più fluidi e sicuri.
  • Terapia manuale: massaggi, mobilizzazioni e manipolazioni vertebrali hanno un’ottima evidenza scientifica di efficacia per trattare il dolore cervicale. Soprattutto in una fase iniziale dove il dolore o la rigidità è importante risultano un’ottima strategia terapeutica.

In aggiunta a questi tre interventi possiamo affiancare:

  • Terapia farmacoligica: anche se i pareri sono discrordanti nel breve termine sembrano efficaci, sia gli antidolorifici che i miorilassanti. Nel lungo termine però potrebbere avere effetti negativi e risultare addirittura dannosi per il recupero.
  • Psicoterapia: come abbiamo visto i disturbi più complessi e che tendono a non guarire spesso sono correlati a alti livelli di stress, insoddisfazione lavorativa o scarso livello di sostegno familiare e/o sociale. Per questi pazienti risulta essenziale lavorare su più fronti con diversi professionisti, e quindi affiancare alla fisioterapia la psicoterapia.
  • Terapia fisiche: laserterapia, TENS e TECAR non sembrano essere dei validi strumenti per trattare il dolore cervicale.

 

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Distorsione di caviglia

DISTORSIONE DI CAVIGLIA

Distorsione di caviglia

La distorsione di caviglia è l’infortunio più frequente degli arti inferiori, colpisce di più le donne e i bambini/adolescenti e non è solo una patologia degli sportivi: il 50% circa avviene in situazioni di vita quotidiana.

Gli sport più a rischio sono il calcio, il basket, la pallavolo, il tennis e la corsa in montagna o campestre.

Si può avere una distorsione in tutte le direzioni, ma quella di gran lunga più frequente è quella che coinvolge la parte laterale della caviglia.

Fattori di rischio

La distorsione di caviglia è anche quello che ha più recidive (nuovi infortuni della stessa struttura). Infatti il fattore di rischio più importante è avere già avuto una distorsione. Altri fattori di rischio possono essere: il sovrappeso, un senso di equilibrio non ottimale, mancanza di forza e coordinazione, mancanza di sonno.

Recupero e ritorno all’attività

Circa il 75% degli atleti che hanno subito una distorsione ritornano a giocare nel giro di 3/5 giorni. Questo però in casi di distorsioni più leggere e che interessano i legamenti in maniera marginale. E non è detto che siano guariti del tutto: infatti in molti presentano deficit di forza, articolarità e coordinazione. Nel caso di distorsioni più importanti il recupero arriva anche a 3/4 settimane ed è molto frequente (anche il 25/30%) quello che viene chiamata ICC (Instabilità Cronica di Caviglia) e cioè dei sintomi che non guariscono mai del tutto e che possono durare anche anni. Questo avviene principalmente perché si sottovaluta l’infortunio iniziale e non si effettua un percorso riabilitativo ottimale.

Valutazione

Al momento della valutazione è utile valutare diversi aspetti:

  • Somministrare le Ottawa Ankle Rules, per capire se il paziente ha necissità o meno di andare in Pronto Soccorso. Scopri cosa sono qui!
  • Dolore: è un ottimo indicatore per i tempi di recupero; più intenso è il dolore più sarà lungo il recupero.
  • Gonfiore: più è gonfia la caviglia in seguito a una distorsione maggiori saranno le probabilità di problemi a lungo termine.
  • Movimento: una restrizione di movimento, soprattutto in dorsiflessione (punta del piede verso il ginocchio), maggiori saranno le probabilità di avere una ICC.
  • Forza: un deficit di forza dei polpacci è un indicatore di maggiore gravità della dostorsione.
  • Equilibrio: anche qui, se c’è perdita di equilibrio statico si ha maggiore probabilità di avere ICC.
  • Equilibrio dinamico e cammino: se la persona zoppica vistosamente, o ha sensazioni di cedimento durante il cammino, avrà tempi di recupero maggiori.
  • Salute generale: se un soggetto è sportivo e in buona salute, recupererà prima e meglio, rispetto a una persona sedentaria.

Trattamento

Per il trattamento la strategia migliore è rappresentata del PEACE&LOVE (Approfondisci qui).

In Fase ACUTA, primi 1/5 giorni a seconda della gravità, effettuare Protezione (bendaggi, riposo, evitare il dolore), Elevazione (mettere la caviglia più alta del cuore), eliminare gli Antiinfiammatori (danneggiano i tessuti a lungo termine e ritardano il recupero), Compressione (bendaggi funzionali), Educazione (fondamentale circondarsi di professionisti che ci indichino le strategie migliori da prendere per i nostri infortuni).

Passata questa fase acuta il nostro corpo ha bisogno di LOVE: Load (Carico in italiano: dobbiamo iniziare a caricare l’articolazione, in base al dolore e alle nostre capacità. Non bisogna rimanere a riposo per troppo tempo, ma effettuare un carico graduale e progressivo permette di recuperare prima e meglio), Ottimismo (avere un approccio attivo, ottimista e fiducioso rispetto a un infortunio migliora di molto la prognosi e il recupero. Tutti i dubbi e i pensieri negativi devono essere ascoltati e risolti insieme al tuo fisioterapista), Vascolarizzazione (fare attività fisica cardiovascolare, ad esempio bici o nuoto, migliora la salute generale e velocizza il recupero), Esercizi (effettuare esercizi specifici diventa fondamentale per evitare recidive, migliorare la forza e la mobilità e ritornare a giocare in sicurezza). Il carico e gli esercizi dovranno essere prescritti e guidati da un professionista a seconda del singolo caso.

Ritorno allo sport

Come in ogni infortunio il ritorno allo sport non deve basarsi sul tempo trascorso dall’infortunio, ma il paziente deve superare una serie di test funzionali (e specifici per ogni sport differente) al fine di tornare a giocare e competere in sicurezza.

 

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Gomito del tennista epicondilite

GOMITO DEL TENNISTA – EPICONDILITE

L’epicondilite si manifesta come un dolore sull’epicondilo (parte laterale del gomito). È caratteristico di persone che effettuano movimenti di presa e forza con la mano, tipicamente associato a un problema sull’inserzione dei tendini degli estensori del polso e delle dita. Conosciuto anche con il nome di gomito del tennista, sarebbe meglio chiamarlo DOLORE LATERALE DI GOMITO. Perché? Perché nella realtà è un problema più complesso e necessita di una attenta valutazione. La forma più comune rappresenta la problematica del tendine, ma conosciamo insieme le varie forme, e capiamo perché avere una diagnosi corretta è fondamentale per il percorso riabilitativo da intraprendere.

Possibili strutture coinvolte

Il più frequente e comune è un problema ai tendini: come tutte le problematiche tendinee è associata a un sovraccarico, e difatti la popolazione più coinvolta sono i lavoratori che usano molto le dita e/o le prese: elettricisti, muratori, impiegati, sportivi, etc.

Poi esistono problematiche articolari: tendenzialmente insorte in maniera più improvvisa, con un movimento brusco del braccio con un peso in mano. Sono più complesse da valutare, e più difficili da gestire. Anche perché nel caso di coinvolgimento di legamenti si può avere una microinstabilità dell’articolazione. Il trattamento sarà più lungo e a volte necessità di un lavoro di equipe tra ortopedico/fisioterapista mirato.

Coinvolgimento nervoso: il meno frequente ma anche in questo caso fondamentale da riconoscere per arrivare al piano di trattamento migliore. Tendenzialmente in questo caso il dolore è meno localizzato e può avere dei sintomi tipici di sofferenza nervosa: formicolio, bruciore, parestesia, etc.

Infine possiamo avere delle forme miste: in cui sono presenti 2 o tutte e tre le forme. Chiaramente più complesse, ma per fortuna meno frequenti.

 

Trattamento

Non sarà sempre bianco o nero ma possiamo iniziare ad avere delle idee di massima:

  • Componente tendinea: il lavoro da fare (come in tutti le problematiche ai tendini) è ristabilire la corretta capacità della componente muscolo-tendine di sopportare lo sforzo, e quindi iniziare con esercizi graduali e progressivi per rinforzare la struttura. Soprattutto all’inizio, per gestire al meglio il dolore, può essere utile utilizzare terapia manuale, stretching e, a volte, tecar o laser terapia. La prognosi dipende da quanto tempo il paziente sente dolore ma all’incirca va dalle 4 alle 6 settimane
  • Componente articolare: il trattamento sarà orientato alla protezione dell’articolazione, utilizzando tutori, bendaggi e cercando di evitare le posizioni che aumentano il dolore (tipicamente il gomito totalmente dritto). In aggiunta è molto utile fare mobilizzazioni manuali dell’articolazione e cercare di gestire il dolore. La componente di esercizi deve essere gestita con estrema attenzione per non aumentare il dolore, ma è fondamentale per una ripresa ottimale della funzionalità. La prognosi sarà più lunga, circa 12-16 settimane.
  • Componente nervosa: anche in questo caso utilizzare tutori o bendaggi per evitare delle posizioni irritanti è utile. Inoltre la mobilizzane passiva del nervo con esercizi di neurodinamica è utile per ridirre il sintomo e migliorare la tolleranza al movimento. Può essere utile del massaggio, tella terapia manuale e dello stretching dinamico. La prognosi è di circa 8-12 settimane.
  • Componente mista: una unione delle tecniche di ogni altro sottogruppo.

Conclusioni

Se i pazienti rispondono bene al trattamento fisioterapico dovrebbero comunque prestare attenzione e avere la costanza di svolgere esercizi specifici per i primi 3/6 mesi dalla ripresa delle normali attività per evitare ricadute.

Se invece il trattamento fisioterapico non è sufficiente a risolvere il dolore, può essere utile andare a fare una investigazione migliore della problematica tramite Risonanza Magnetica, e consultare uno specialista ortopedico per decidere al meglio il percorso migliore per il paziente.

 

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Fascite plantare

FASCITE PLANTARE

COS’È LA FASCITE PLANTARE?

La fascite plantare è caratterizzata da un dolore sulla pianta del piede. Il dolore può essere localizzato sulla parte interna vicina al calcagno, da dove parte la fascia plantare, oppure a metà della pianta del piede. Il dolore è maggiore durante i primi passi e quando si eseguono attività in piedi, soprattutto in seguito a periodi di riposo o al mattino. Se non trattato correttamente può durare per diverso tempo e in alcuni casi diventare una condizione cronica.

 

INSORGENZA DEI SINTONI E DIAGNOSI

La fascite plantare è un infortunio molto frequente sia nella popolazione sportiva (soprattutto in chi corre o in sport in cui la corsa è predominante), sia in soggetti di mezza età tendenzialmente sedentari. Ci sono molti fattori che possono contribuire a sviluppare sintomi di fascite: riduzione della mobilità della caviglia, debolezza muscolare, rigidità delle articolazioni del piede, alti livelli di stress, ansia, depressione. Le cause che hanno però maggior importanza sono:

  • Un BMI alto, cioè essere in sovrappeso
  • Eseguire attività in cui si sta molto tempo in piedi o sport in cui la corsa è preponderante
  • Cambiare le proprie abitudini (il fattore più importante); per le persone sedentarie è tipica l’insorgenza di dolore in seguito a weekend in cui si cammina molto, o cambi sul lavoro o nelle attività in cui si incrementa molto l’attività, anche solo camminare. Per gli sportivi riprendere dopo un periodo di stop, oppure incrementare il volume o l’intensità di allenamento e ridurre i tempi di recupero.

La diagnosi di fascite plantare in realtà è semplice. Il dolore deve essere presente o sulla pianta del piede oppure sull’interno del piede vicino al calcagno. Il dolore aumenta alla pressione manuale e alla palpazione si deve evocare il dolore familiare al paziente, cioè un dolore simile a quello che sente durante le attività specifiche.

 

TRATTAMENTO

Pur essendo una condizione molto frequente il trattamento migliore non è ancora stato individuato con certezza. I tre interventi principali sono: educazione, stretching della fascia plantare in combinazione con esercizi e bendaggi di tipo low dye.

I ricercatori indicano l’educazione come l’intervento principale e più importante. Bisogna informare adeguatamente i pazienti circa la loro condizione, rassicurarli della prognosi favorevole, spiegargli come gestire il dolore e le attività impostando programmi personalizzati e individuali per ciascuna persona al fine di ottimizzare l’intervento riabilitativo. Bisogna consigliare, in un primo momento, di evitare di stare in piedi per lungo tempo o camminare per i più sedentari e di ridurre l’attività di corsa per gli sportivi, al fine di diminuire lo stress esercitato sulla fascia. Infine può essere utile cambiare la scarpa, nel breve periodo, e trovare una calzatura che riduca la sintomatologia. Il discorso è comunque soggettivo e va discusso tra paziente e fisioterapista.

Quando questi tre interventi non sono sufficienti per risolvere il problema, tendenzialmente la fascite plantare curata correttamente si risolve in 4-6 settimane, è utile pensare ad altri trattamenti quali laserterapia, onde d’urto o perdita di peso per le persone in sovrappeso o anche fabbricare delle solette personalizzate per la volta plantare. Importante però che sia le solette che il cambio di scarpa avvenga solo per il periodo di dolore, in quanto non sono utili, anzi forse anche dannosi, nel lungo periodo.

 

CONCLUSIONE

La fascite plantare è una condizione dolorosa del piede che colpisce sia le persone sedentarie che le persone sportive. È abbastanza frequente e se non trattata correttamente può protrarsi per diverse settimane, addirittura mesi. I cambi negli allenamenti o nelle attività comuni sono la causa principale di insorgenza del dolore. La fisioterapia aiuta tramite l’educazione rispetto alla gestione del dolore e delle attività, l’esecuzione di esercizi di stretching e di bendaggi di tipo low dye. In aggiunta si possono eseguire terapie fisiche come laserterapia e onde d’urto o utilizzare nel breve termine solette personalizzate.

 

Referenze:

Morrissey D, Cotchett M, Said J’Bari A, Prior T, Griffiths IB, Rathleff MS, Gulle H, Vicenzino B, Barton CJ. Management of plantar heel pain: a best practice guide informed by a systematic review, expert clinical reasoning and patient values. Br J Sports Med. 2021 Mar 30:bjsports-2019-101970. doi: 10.1136/bjsports-2019-101970.

Thomas MJ, et al. Plantar heel pain in middle-aged and older adults: population prevalence, associations with health status and lifestyle factors, and frequency of healthcare use. BMC Musculoskelet Disord. 2019.